La chiesa di S. Bartolomeo si trova su una collinetta, tra i quartieri di San Simone e Giudecca. Eretta nel XIV sec. per volere del Capitolo della Cattedrale che, in seguito alla peste del 1348, decise di investire le donazioni ricevute dalle famiglie estinte nella costruzione di numerose cappelle. Attualmente la chiesa di san Bartolomeo è chiusa ed è possibile visitarla solo con un format on line.
Nel ‘700 la chiesa venne ricostruita su ruderi medievali e, dopo il terremoto del 1887, venne accorpata alla parrocchia di San Nicola del quartiere San Simone.
Intorno agli anni ’30 del secolo scorso il parroco Don Savaglia la ampliò con l’aggiunta dell’attuale navata sinistra in cui trova posto la statua di San Nicola di Bari, a ricordo dell’antica chiesa parrocchiale.
Sul piccolo campanile sono collocate due campane: una risale al 1445 e reca un’iscrizione greca e una “M” a rilievo. Questa campana è detta “campana della morte” e ricorda l’episodio della peste che si abbatté su Bisignano nel 1348. L’altra campana è dell’800 ed è collocata nel punto dove un tempo c’era la campana della Sinagoga ebraica, trasportata sul campanile di San Bartolomeo quando, a seguito della scacciata degli ebrei, la Sinagoga fu adibita ad abitazione.
Successivamente la campana ebraica venne donata al parroco di S. Maria de Justitieris, il quale la fece fondere allo scopo di far perdere le tracce della sua origine. Il 21 agosto1806 la chiesa venne assalita e saccheggiata da una banda di briganti, proveniente da Acri e guidata da Francatrippa, come si legge in un racconto manoscritto del parroco di allora Berlingieri.
Tra il 1939 ed il 1943, periodo nazi fascista, nel vicino campo di concentramento di Ferramonti vissero oltre 2000 rifugiati ebrei, provenienti da gran parte dall’Europa e in modo particolare dalla Germania.
Tra gli internati vi erano molti professionisti e tra questi Michel Fingesten, docente di Belle Arti presso l’Università di Berlino nato nel 1884. Ottenuta la libertà dopo l’armistizio del 1943, venne a Bisignano, dove incontrò il parroco di San Bartolomeo don Giuseppe Savaglia; questi gli commissionò la realizzazione di un quadro raffigurante il martirio di San Bartolomeo, “degno di stare sull’Altare”. Come modello ebbe un’immaginetta, trascorse otto giorni a dipingere in una stanza messagli a disposizione nella stessa casa del parroco. Il quadro una volta terminato, per usare le stesse parole dell’artista, raccontava di “due drammi nei due visi”: in quello del Santo, il dramma della tortura, della sofferenza e della sopportazione; nell’altro la crudeltà del carnefice.
Il quadro del martirio di San Bartolomeo è l’ultima opera eseguita dal prof. Fingesten. Dopo qualche giorno dalla consegna, infatti, morì a causa di un’infezione.
Di recente il dipinto è stato esposto nella mostra itinerante dal titolo: “Il rifugio precario: Artisti e studiosi della Germania in Italia 1933-1945”, organizzata dall’ “Akademia der Kunste” di Berlino in collaborazione con il Museo di storia contemporanea di Milano e i Goethe Istitute di Milano e di Roma, ponendo così il quadro all’attenzione internazionale.